Rottura totale tra Governo e Regioni sul decreto legge sanità. Dopo i rilievi della conferenza su tutti i punti chiave del testo in itinere in Senato, la Commissione sanità ha rallentato i lavori, anche di fronte ad una marea di emendamenti, non solo di opposizione ma anche di maggioranza.
Per essere convertito ai primi di agosto il decreto doveva essere in aula il 16 o il 17. Quelle date per ora restano. Ma intanto la conferenza delle Regioni chiede l’abrogazione dell’Organismo di verifica e controllo sull’assistenza sanitaria: quell’ispettorato che doveva verificare l'operato di ogni struttura sulla gestione delle liste d’attesa anche avvalendosi dei Carabinieri.
«La norma appare in palese contrasto con il rispetto delle prerogative delle Regioni e delle Province autonome sancite dalla Costituzione». Le regioni inoltre non vogliono spendere per una piattaforma interoperabile con quella del ministero della Salute. E vogliono essere loro a determinare quanto lavoreranno in più i professionisti dei loro servizi sanitari. No infine alla detassazione dei medici da compiere a spese del Fondo sanitario.
L’ispettorato In audizione alla Camera, il coordinatore degli assessori Raffaele Donini (Emilia Romagna, Centrosinistra) e persino il governatore ed assessore alla salute laziale Francesco Rocca (Centrodestra) hanno ventilato il ricorso alla Corte Costituzionale se il parlamento approvasse il decreto com’è.
La Consulta, ricordano le giunte, con sentenza 80 del 2007 fa rientrare funzioni di verifica e controllo delle liste di attesa nelle “potestà legislative ed amministrative attinenti al funzionamento ed alla gestione delle istituzioni ed enti sanitari”, attribuite dal dpr 474 del 1975 a regioni e province autonome.
In parlamento le cose vanno se possibile peggio. La Lega, forza di maggioranza, chiede lo stralcio dell’articolo 2 sull’organismo di valutazione. Le opposizioni fanno proprio il testo alternativo delle regioni che ripropone i contenuti del Nuovo Piano Nazionale di Governo delle Liste di Attesa.
Il “PNGLA”, in fase di redazione per il triennio 2024-26, introduce “importanti innovazioni in materia di governo della domanda e dell’offerta con nuovi flussi informatici, revisioni di linee di guida per il corretto accesso ai sistemi di prenotazione delle prestazioni sanitarie, strumenti di monitoraggio aggiornati per quantificare la domanda di prestazioni ambulatoriali e di ricovero.
A questi si affianca un piano aggiornato dei controlli di appropriatezza prescrittiva e di assegnazione delle priorità di accesso alle strutture sanitarie”.
Il super Cup I rilievi delle regioni si estendono all’articolo 1 sul “super Cup". Si chiede la soppressione del comma che consente ai centri unici di prenotazione di avere visibilità sulle agende degli erogatori (ospedali, ambulatori, laboratori) sia pubblici sia privati convenzionati.
E dove il governo prefigura di verificare che queste strutture non chiudano arbitrariamente le agende di prenotazione ai pazienti si contropropone una più generica verifica dell’implementazione dei percorsi di tutela previsti dal PNGLA.
“La finalità della piattaforma deve limitarsi al monitoraggio del rispetto dei tempi di attesa e della garanzia delle indicazioni di appropriatezza, nel rispetto delle competenze regionali e aziendali. Inoltre, predisporre tutti gli adeguamenti sulle infrastrutture regionali al fine di renderle interoperabili con la piattaforma nazionale comporta investimenti economici consistenti non commisurati alle finalità delle informazioni utili per il monitoraggio delle liste di attesa”. No anche all’implementazione dei Cup in articolo 3: il testo va scritto meglio pure nella parte in cui punisce la mancata presentazione dei cittadini agli appuntamenti. “Il sistema di disdetta e di remind sono due cose diverse. In questo caso si fa riferimento al sistema di remind”.
Le regioni ricordano che la quota da pagare in caso di mancata o tardiva disdetta è dovuta anche dai pazienti esenti e va versata all’Asl e non all’ente erogatore.
Ambulatori by night Lato offerta, all’articolo 4 “si nota confusione in merito ai livelli di competenza e responsabilità tra Stato, Regioni e Aziende. Di fatto, con questo decreto le Regioni perdono competenze in tema di programmazione e controllo sulle Aziende ma vengono sanzionate se le Aziende non gestiscono correttamente le liste d’attesa o non aprono gli ambulatori anche il sabato e la domenica”.
Il testo va riscritto. Le regioni chiedono poi di aggiungere al limite di spesa di quest’anno le risorse assegnate lo scorso anno alle strutture pubbliche e private accreditate che non siano state interamente utilizzate e di fare lo stesso nel 2025 e 2026, atteso che dette risorse non servano per pareggiare il bilancio. E chiedono mani libere per ottenere prestazioni gratuite al fornitore privato da cui debbano recuperare somme. Infine, precisano che le prestazioni aggiuntive non sono l’unica strada per estendere l’offerta. Bocciata pure la detassazione, anche se non negli intenti.
Le regioni oggi con il decreto Calabria possono incrementare il fondo sanitario del 10% rispetto all’esercizio precedente e di un ulteriore 5% a richiesta se adottano metodologie per determinare il fabbisogno di personale. Il nuovo testo lega l’incremento del 5% a una verifica di Roma sull’avvenuta estensione dell’attività istituzionale in chiave anti-attese. La conferenza ne chiede l’abrogazione, tocca alle regioni a definire modi di reclutamento ed impiego del personale.
Detassazione Roma può semmai investire risorse per le regioni che non riescono a far fronte alle liste d’attesa. Per valorizzare medici, infermieri & co le giunte poi propongono di destinare alla contrattazione integrativa risorse entro il 2 % del monte salari 2018 in deroga ai limiti di spesa per il personale.
Rottura con il governo anche sul finanziamento della detassazione delle ore aggiuntive che consentirebbe portare nelle tasche dei medici quasi un 30% in più: per evitare che la detassazione pesasse sul salvadanaio del Ministero della Salute e del Fondo danneggiati da emotrasfusioni il governo ha posto l’onere iniziale sul Fondo sanitario ma le Regioni non accettano alcun taglio al Fondo. Né accettano che la detassazione si applichi a prestazioni rese prima dell’entrata in vigore del decreto.
REDAZIONE AISI
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